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EDUCAZIONE E PUBBLICITÀ ALIMENTARE: MALA TEMPORA CURRUNT

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cibo-spazzatura-dipendenza

O tarallucci o sciopero della colazione? Ma come ed a chi viene in mente? A parte che non è detto affatto che la colazione DEVE essere a base di biscotti (sono troppo calorici e grassi), ma queste affermazioni sono classiste e scorrette dal punto di vista nutrizionale. Meglio spendere i soldi per sistemare la logopedia di questi poveri bambini!

di Giorgio Pitzalis, Presidente di Giustopeso Italia

Il 36% dei nostri bambini e oltre il 46% degli adulti sono sovrappeso od obesi. L’Italia alimentare è sempre più alla deriva. Intanto 4 mamme e papà (parenti inclusi) su 10 con bambini in sovrappeso non ritengono che il proprio figlio o nipote abbia un problema di questo tipo e sottovalutano la quantità di cibo che consumano i loro pargoli. Ogni anno queste percentuali peggiorano dell’1% l’anno, ma tutto questo sembra preoccupare molto poco. Gli italiani affermano di sapere per grosse linee cosa fare ma passare dalla teoria alla pratica è praticamente impossibile. Scegliere, come spesso avviene, cosa mettere nel piatto lasciandosi guidare solo dagli spot televisivi significa adottare una dieta molto squilibrata rispetto alle linee guida messe a punto dagli esperti di nutrizione e sintetizzate nella “Piramide alimentare” e dalle indicazioni della Dieta Mediterranea. Ad esempio, una dieta da 2000 calorie basata solo sui cibi reclamizzati dalle principali tv in fasce orarie importanti come la prima serata o durante i cartoni animati conterrebbe 25 volte le razioni giornaliere raccomandate di zucchero e 20 volte di grasso. Ma meno della metà delle porzioni di verdura, frutta e latticini.
I cibi degli spot forniscono un eccesso di sostanze correlate alle malattie croniche, come grassi saturi, colesterolo e sale, mentre sono carenti di nutrienti con effetto protettivo, come fibre, vitamine A, E e D, calcio e potassio. Gli USA continuano a proporre vane linee guida sulla pubblicità, che le aziende alimentari dovrebbero seguire. La posta in gioco è la salute odierna e soprattutto futura di centinaia di milioni di piccoli e grandi abitanti della nostra cara Terra. Ormai anche in Italia, non c’è alimento per bambini che non inviti a visitare il suo sito e a giocare per continuare a comprare. Incentivare quindi la pubblicità ed il consumo di alimenti più salutari e ridurre l’apporto di zuccheri, grassi saturi e sale sembra proprio una battaglia persa. Un esempio? Lo zucchero aggiunto nei cereali non dovrebbe superare gli 8 grammi a porzione, ma una porzione media ne contiene 12 grammi (altri, come per esempio le palline al Nesquik vendute in Italia, arrivano a 15 grammi). Discorso analogo vale per il sale, considerato uno dei fattori più dannosi, anche perché porta a consumare bevande gassate e zuccherate. L’assedio dei nuovi alimenti continua. Patatine che in pratica sono bastoncini croccanti di purea di patate, prefritti e surgelati: insomma, un impasto a base di patate tenuto insieme da un emulsionante (E471). Come al solito le informazioni nutrizionali sono poche e prive di indicazioni sui grassi saturi e sul contenuto di sodio. La grande industria propone, dopo i frullati una nuova versione di snack, la frutta al cucchiaio: si tratta di purea e pezzi di frutta in coppetta, con tanto di cucchiaino, senza zuccheri, coloranti o conservanti. L’unico arricchimento è costituito dall’aggiunta di vitamina C. I nutrizionisti consigliano 5 porzioni di frutta e/o verdura al giorno? Perfettamente sincronizzata con queste proposte, la grande industria dichiara che una coppetta è in grado di coprire 1,5 porzioni di vegetali rispetto al fabbisogno giornaliero. E’ da rilevare però che questi prodotti hanno uno scarso o assente contenuto di fibre alimentari rispetto al prodotto fresco. Altro tasto dolente è il prezzo: con 1,45 euro a coppetta, una merenda di questo tipo diventa piuttosto elitaria. Passiamo alle bevande. Del tutto recente è la censura dell’ultima campagna della Coca-Cola: non deve essere bevuta tutti i giorni! È questa la decisione presa dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria contro la campagna pubblicitaria apparsa su numerosi giornali pochi mesi fa e caratterizzata dallo slogan “La formula della felicità”. Questo legame tra alimento e sentimento (felicità) è oltremodo falso e offensivo per la normale intelligenza degli italiani. Nella pubblicità si invitavano i consumatori a bere Coca-Cola durante i pasti, lasciando intendere che si tratta di una vecchia tradizione italiana. Ma quando mai? Il consumo di bibite dolci deve essere comunque occasionale, per non contrastare con i principi della corretta alimentazione e le campagne di educazione alimentare destinate ai ragazzi ed agli adulti. Concludiamo trattando di consigli per gli acquisti televisivi di cereali per la colazione. Se pensate che esista un divieto di reclamizzare prodotti alimentari durante le trasmissioni destinate ai bambini, non è così! Infatti, al momento in Italia non esistono divieti espliciti: non ve n’è traccia nelle leggi, come il Codice di Autoregolamentazione Tv e minori e la legge n. 122 del 1998, né nella legge Gasparri, né nel Codice del Consumo. Neppure nel Codice sorvegliato dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. L’unica eccezione riguarda gli spot di bevande alcoliche: il Codice di Autoregolamentazione Tv e minori infatti prevede che nella fascia oraria “dalle 16.00 alle 19.00 si dovrà evitare la pubblicità in favore di bevande superalcoliche e alcoliche, all’interno dei programmi direttamente rivolti ai minori e nelle interruzioni pubblicitarie immediatamente precedenti e successive”. Ora, le stesse industrie di croccanti fagottini di cereali hanno sottoscritto l’ “EU Pledge”. Un impegno volontario assunto da alcuni gruppi alimentari all’interno della Piattaforma europea per l’Azione sulla dieta, l’attività fisica e la salute, istituita nel 2005 dalla Direzione generale per la Salute e tutela del consumatore (DG Sanco) della Commissione europea, per incoraggiare iniziative sinergiche pubblico-private contro la crescente obesità in Europa.
Tutte le aziende partecipanti si erano impegnate ad attuare entro il 31 dicembre 2008 una serie di azioni volontarie in materia di pubblicità di cibi e bevande rivolta ai bambini, che avrebbero dovuto soddisfare questi requisiti minimi:
1) nessuna pubblicità di alimenti e bevande destinata a bambini di età inferiore ai 12 anni su TV, stampa e Internet, fatta eccezione per quei prodotti che soddisfano precisi criteri nutrizionali basati su valutazioni scientifiche accreditate e/o direttive dietetiche nazionali e internazionali
2)
nessuna partecipazione a comunicazioni promozionali correlate a prodotti alimentari e bevande nelle scuole elementari, salvo i casi in cui ciò avvenga a fini educativi su esplicita richiesta di o d’intesa con l’amministrazione scolastica
3) pubblicare ogni anno tutti gli impegni assunti dall’azienda su un sito Web dedicato www.eu-pledge.eu
4) commissionare a enti indipendenti apposite verifiche sul corretto adempimento degli impegni assunti in materia pubblicitaria su TV, stampa e Internet, a partire dal mese di gennaio 2009.
Comunque si legge poi che le aziende che aderiscono a EU-Pledge hanno sviluppato le proprie guide nutrizionali. Insomma: ognuno decide da sé cosa soddisfi “precisi criteri nutrizionali basati su valutazioni scientifiche accreditate e/o direttive dietetiche nazionali e internazionali”.
Risultato: in Italia, secondo una ricerca promossa dalla Coop nel 2007 e condotta dall’Università Roma Tre, qualsiasi bambino italiano che guarda la tv 3 ore al giorno – dalle 16 alle 19 – è costretto a subire uno spot alimentare ogni 5 minuti, per un totale di 32.850 pubblicità in un anno.
Da noi gli spot che pubblicizzano alimenti ricchi di grassi, zuccheri e sali rappresentano il 36% del totale di pubblicità. E pochi avvertono di consumare i prodotti con moderazione.
Il Codice di autodisciplina pubblicitaria sottolinea l’importanza di non sminuire il ruolo dei genitori nelle scelte alimentari. E allora, ancora una volta, dove sono i genitori? Sono purtroppo sempre più “volatili” ed incapaci di dare ai loro figli poche e semplici regole, anche alimentari. E le industrie non chiedono di meglio: pubblicità scorretta, aggressiva e via!
Al peso di noi e dei nostri figli penseranno altre multinazionali, ad esempio quelle farmaceutiche!
Ogni settimana, sulle diverse reti televisive, vengono “proposti” circa 1800 spot pubblicitari nelle fasce orarie e nei programmi dedicati ai bambini; di questi circa il 26% di questi è dedicato ai prodotti alimentari (171.000 ogni anno). Al primo posto si trovano biscotti e merendine (non certo frutta e verdura!).
In uno studio condotto su 70 classi elementari di Milano, il 55% dei bambini tra 8 e 10 anni e il 46% di quelli fra 6 e 7 anni mangia spesso le stesse cose a pranzo e a cena. La pastasciutta è il piatto “tuttofare” seguita dalla carne. Le verdure sono le più detestate.
Gli errori alimentari sempre rilevati sono: colazione del mattino assente o scarsa, snack a scuola, un pranzo spesso frugale o squilibrato (vedi scarti di mensa), merenda spesso davanti alla TV e, infine, mega-cena (spesso il solo vero pasto familiare). Secondo alcuni analisti le previsioni sull’aumento della vita media negli USA dovranno essere ridimensionate a causa delle conseguenze sulla salute di quella che ormai definita come una vera e propria epidemia.
In Italia, tra il 1994 ed il 1999, l’ISTAT ha registrato un aumento del 25% dei casi di obesità e almeno 16 milioni di italiani dovrebbero perdere qualche chilo.
In mancanza della “pillola” miracolosa, meglio cambiare lo stile di vita, muovendosi di più e facendosi guidare verso un programma che aiuti a cambiare le proprie abitudini. É infatti indispensabile imparare a mangiare ed è obbligatorio saper scegliere tra gli innumerevoli prodotti del mercato alimentare.
I cardini della Dieta Mediterranea (pane, pasta, olio di oliva, frutta e verdura di stagione, poca carne “bianca” e pesce) nelle giuste quantità, sono tuttora validi e consigliati a livello internazionale.
Altro caposaldo per una corretta e consapevole alimentazione è la figura del medico pediatra, spesso unico “nutrizionista” del bambino e della sua famiglia. Per tutto questo è fondamentale continuare nell’opera divulgativa ed informativa dei prodotti alimentari della natura e della loro tipicità territoriale, che soli possono consentire a noi tutti uno stato di salute ottimale.
Ora il problema è questo: come educare ad una corretta alimentazione quando i mass media ed i potentati alimentari diffondono messaggi non corretti?
Alcuni esempi:
Dal 27 febbraio 2011 è “on-air” il nuovo spot STAR di cui certo non si sentiva il bisogno: che necessità c’è di aggiungere dado (quindi sodio) alla nostra dieta già troppo salata?
Ambientato all’interno di una cucina, il luogo di ritrovo tipico della famiglia italiana, lo spot ritrae una giovane mamma alle prese con la figlioletta, per nulla convinta di mangiare, come qualunque bambino, un piatto di verdure bollite. Bollire o arricchire? Naturalmente, meglio arricchire con Dado STAR. Un invito per tutte le mamme sprovvedute. E, come se non bastasse, a chiusura dello spot l’ormai celebre claim “Ti adoro gusto italiano”.
Ma di cosa stiamo parlando?

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Tipico non vogliamo mangiarlo? Altre 345 kcal! 1/6 del fabbisogno calorico giornaliero: meditate.

E ora pubblicità non proprio occulta! Mala tempora currunt

Pubblicità demenziale

ENNESIMO CASO DI PUBBLICITÀ NON RIUSCITA
Leggete l’ultima frase. Viene fuori come i cavoli a merenda. E ancora “scegli tu quella che fa per te (per chi la produce l’importante e pagarla. E se poi aumenti il tuo peso, sono problemi solo tuoi!). Hola

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CARNE E PESCE AL CARTOCCIO. Dapprima era il solo saccoccio per il pollo, ora è il pesce al saccoccio-cartoccio-sacchetto di plastica.  Cuocere la plastica ad alte temperature cosa farà? Sarà cancerogena? Mah, ai posteri l’ardua sentenza. Nel dubbio, meglio farne a meno.

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Di seguito, la crema di nocciole viene presentata nel video come prodotto sano e nutriente, adatto ai bambini. Il comportamento dei bambini è alquanto agitato. La casa è un caos, ma la mamma non si preoccupa. Somministra una fetta maxi con 1/2 confezione di cacao (eccitante) e nocciole (allergizzanti) spalmabili. Tutto il resto non conta.

VUOI APPROFONDIRE? Leggi:

1- IN BOCCA AL LUPO – La pubblicità e i comportamenti alimentari dei ragazzi
Indagine condotta in 11 paesi europei su: – Gli spot alimentari trasmessi in TV durante la fascia protetta – Le norme a tutela dell’infanzia, in materia di pubblicità televisiva.
La ricerca è stata coordinata dalla prof. Marina D’Amato del Dipartimento di Scienze dell’Educazione Università di Roma Tre – In collaborazione con l’Osservatorio di Pavia
(clicca sull’icona per aprire il file)

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2- BORN TO BUY 
(nati per comprare)
di Paolo Becherucci (Pediatra)
(Area Pediatrica, Settembre 2006, pagg. 3-4)

“Che i bambini fossero un bersaglio della pubblicità mi era evidente, ma forse la scarsa frequentazione dei programmi televisivi non mi aveva permesso di comprendere a fondo l’entità del problema. Alcune recenti letture mi hanno invece portato a conoscere dati stupefacenti. Fino a pochi anni fa i bambini erano attori marginali del mercato, in quanto acquirenti di pochi beni e di scarso valore. I prodotti specifici per bambini esistono da secoli e già nel 1800 i giocattoli erano degli status symbol. Nel corso del XX secolo, però, il comportamento degli adulti è radicalmente cambiato: i bambini sono divenuti preziosi e insostituibili, sempre in numero minore per famiglia e quindi più importanti. Inoltre progressivamente si è invertito il rapporto fra il tempo passato a giocare e socializzare e quello utilizzato per i videogiochi, la televisione o Internet. Contemporaneamente è esploso il loro “potere di acquisto”. Si è anche abbassata l’età alla quale i piccoli entrano nel mondo degli adulti. I fenomeni dello shopping, dell’attaccamento ai marchi, del possesso come indice di appartenenza al gruppo, una volta tipicamente adolescenziali, stanno divenendo patrimonio di bambini sempre più piccoli. Essi assumono, soprattutto nelle famiglie monoparentali così diffuse attualmente, responsabilità e atteggiamenti tipici degli adulti: alcuni sociologi definiscono questo fenomeno come “scomparsa dell’infanzia”. Se ci facciamo caso infatti, è sorprendente notare come certi giochi, soprattutto all’aperto, siano scomparsi e come, anche quando vengono in ambulatorio, i piccoli non abbiano quasi mai con sé una bambola, una macchinina, un pupazzo, ovvero i tipici oggetti infantili – bensì giochino con il cellulare. Tale progressiva “omogeneizzazione” con gli adulti ha determinato un aumento del potere decisionale dei bambini negli acquisti familiari. È questo, infatti, il secondo dato sorprendente: essi non solamente sono in grado di scegliere e pretendere oggetti per se stessi, ma sono divenuti elemento determinante delle scelte della famiglia, persino dell’acquisto dell’auto – il che spiega la presenza delle pubblicità dei SUV nei cartoni animati! Alcune indagini negli Stati Uniti hanno evidenziato che i prodotti più frequentemente richiesti e acquistati dai bambini non sono i giocattoli, come verrebbe spontaneo pensare, bensì i cibi (in terza posizione nelle preferenze vengono i vestiti, anche nella fascia di età dei più piccoli). Non dobbiamo perciò sorprenderci del dilagare dell’obesità! – ecco qui la funzione di Giustopeso Italia – La pubblicità ha cavalcato questo fenomeno o ha contribuito a crearlo? Probabilmente entrambe le cose. Attualmente esistono studi di marketing specifici non solo per le varie fasce di età ma, negli Stati Uniti, addirittura per i diversi gruppi etnici: ci sono convention di pubblicitari dedicate e programmi creati allo scopo. L’elemento determinante, però, è il ridotto tempo che i genitori vogliono e possono dedicare ai figli: questo porta alla “spesa determinata dal senso di colpa “, alla difficoltà di convincere i figli su cosa è meglio fare o non fare, all’impossibilità di cambiare un acquisto non gradito e quindi all’accondiscendenza rispetto alle scelte dei bambini e degli adolescenti o addirittura all’affidare direttamente a loro l’acquisto. Viene quindi spontaneo chiedersi se le Istituzioni abbiano promulgato leggi a tutela dell’infanzia in questo campo. Limitandoci all’Italia, in effetti anche la recente Legge Gasparri definisce cosa si dovrebbe fare riguardo le pubblicità per l’infanzia e l’uso dei bambini negli spot pubblicitari, in modo piuttosto restrittivo, ma probabilmente inapplicato. La SIP (Società Italiana di Pediatria) e la nostra rivista (Area Pediatrica) si sono occupati del fenomeno del rapporto fra infanzia e media. Per chi non l’avesse ancora fatto, invito a leggere l’articolo uscito nel numero 8 del 2005 su rischi e opportunità della TV e di Internet per i minori. Condivido totalmente le considerazioni conclusive: non è probabilmente utile assumere posizioni estremistiche del tipo “non facciamo vedere la TV ai bambini”. II pediatra deve discutere con i genitori circa il corretto utilizzo dei media ogni volta che può, non deve demonizzare tali mezzi, ma deve insegnare a gestirli, controllarli e ricollocarli nel loro giusto ruolo: una risorsa consapevole e non un soffocante, ininterrotto abbraccio.”

LEGGERE PER CREDERE
– Juliet B. Schor: Nati per comprare: salviamo i nostri figli, ostaggi della pubblicità. Milano: Ed. Apogeo, 2005.
– Maria D’Alessio, Fiorenzo Laghi: Maneggiare con cura: i bambini e la pubblicità. Edizioni Ma.gi. 2006

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